Musica da camera singola. Appunti sull'amore e sul farsi una vita by Amy Key

Musica da camera singola. Appunti sull'amore e sul farsi una vita by Amy Key

autore:Amy Key [Key, Amy]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2023-05-26T12:00:00+00:00


SCONOSCIUTI

will you take me as I am?

All’inizio del mio viaggio in California, stordita com’ero dal jet lag, trovai il ritaglio di una recensione di Blue su eBay, era tratta da un numero di «Melody Maker» del 1971. Speravo di rintracciare un frammento magico tra i memorabilia di Joni che mi ispirasse nella scrittura. Costava solo poche sterline così lo comprai, e al mio ritorno era lì ad attendermi. Secondo la recensione era «difficile identificarsi» con le canzoni di Blue, il disco aveva un «problema di empatia». Le esperienze descritte coincidevano con «il dolce dilemma di restare bloccata a Parigi quando vorrebbe essere in California»; la sua possibilità di scappare ad Amsterdam e Roma per un colpo di testa rifletteva la «separazione dal campo delle nostre esperienze». A mio avviso era una recensione profondamente stonata: era ridicolo che i testi di Blue potessero essere considerati distanti quando io mi ci rapportavo in maniera tanto potente e mi ero sentita così ancor prima di innamorarmi per la prima volta, e molti anni prima di fare un viaggio fuori dall’Inghilterra. Per me Joni non stava parlando tanto di viaggiare quanto di trovare un modo per essere se stessa, di appartenere a un posto a prescindere dalla sua collocazione geografica.

*

Da ragazzina credevo che andare in vacanza all’estero equivalesse ad acquisire fascino e carisma. Bastava una settimana in un villaggio turistico soleggiato in Europa, immergersi tra gli sconosciuti, e ci sarei riuscita anch’io. Mi sarei liberata del mio provincialismo, della sensazione giornaliera di andare avanti a furia di cose di seconda mano, cibo insipido, con il tonfo sordo della noia scolastica. Per me avere fascino significava sentirsi a casa nel mondo, essere erudita e immaginifica, senza sforzo o artificialità nel modo di conversare, avere vezzi e stile. Una levigatura di qualcosa di latente dentro. In questo senso, recarmi all’estero andava di pari passo con l’idea che avevo delle storie d’amore: pensavo fosse il mio destino e che con quei viaggi mi sarei calata in una versione più fedele a me stessa. Volevo essere come una di quelle ragazze e quei ragazzi a scuola che al rientro dalle vacanze tornavano in classe con ciocche di capelli schiarite dal sole, i segni bianchi degli occhiali da sole intorno agli occhi, la spavalderia degli amori casti tipici delle vacanze. Una celebrità temporanea nel cortile della ricreazione. Le vacanze con la mia famiglia erano rare, entro i confini e poco fotogeniche.

La prima volta che lasciai il Paese stavo per compiere ventun anni. Usai parte del prestito studentesco per finanziare il viaggio, i miei debiti erano già elefantiaci e non aveva senso resistere. Le persone che avevo conosciuto all’università si erano prese degli anni sabbatici, erano state in tutto il mondo, facevano le vacanze nei luoghi di villeggiatura che avevo idealizzato da piccola. Non invidiavo sempre i loro viaggi – partire con lo zaino in spalla era atroce per me, quello stare a stecchetto e sopportare la scomodità tipica dei figli dei ricchi in vacanza –, ma invidiavo la vasta gamma di esperienze a cui potevano attingere.



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